Sempre odiati i film francesi. Sempre. Sarà che sono ignorante, sarà l'accento fastidioso, sarà la puzza sotto il naso, ma l’odio è sempre stato così, naturale.
Finchè arriva un film del 2001 a far cambiare idea. Vidocq.
Parigi, 1830. "Vidocq è morto". E già il film comincia bene: muore il protagonista, olè. L'investigatore Vidocq muore cercando di risolvere una serie di misteriosi omicidi; il suo socio Nimier riceve la visita del biografo ufficiale di Vidocq, uno sbarbatello di nome Etiénne, deciso a risolvere il caso per vendicare l'investigatore, e scrivere l'ultimo capitolo del suo libro. E da qui comincia tutto l’ambaradan.
Pitof, alla sua prima regia, dà una buona prova di sé. Trasporta sullo schermo la novella di Jean Christophe Grangè in una maniera irresistibile. Avanti e indietro, avanti e indietro tra presente e flashback tutti i vari flashback. Ma il vero mal di mare – detto sinceramente – è dato dalle riprese: strettissime inquadrature e cambi di prospettiva improvvisi, la telecamera che si muove insieme al personaggio muovendosi insieme a lui. Insomma, nausea, ma alla quale tutto sommato dopo due o tre minuti ci si abitua.
Il cast però è fantastico. Gerard Depardieu è sull'orlo dell'infarto dopo ogni inseguimento. Moussa Maaskri ha il suo sporco perché, con sto geco che gli risale la faccia. Guillaume Canet sarebbe sembrato meno stupido con un taglio di capelli migliore e un abbigliamento meno da hobbit. Ines Sastre è buttata assolutamente lì a caso, ma va bene così.
Per il resto gran film, d’effetto.
C’è da dire che se è vero che sir Arthur Conan Doyle pare si sia ispirato al personaggio di Vidocq, peraltro realmente esistito, per il suo Sherlock Holmes, è altrettanto vero che Jean Christophe Grangè si è ispirato a Doyle per la struttura della storia, da vero thrillerone, e la caratterizzazione di Vidocq. Inglese e francesi, non la smetteranno mai.
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