venerdì 20 luglio 2012

HAPPY LOLLIPOP DAY

Oggi è la giornata nazionale dei leccalecca. 
Il tossico social network, per cui dobbiamo ringraziare il caro Mark, non ha tardato a diffondere l'informazione. 
Today is National Lollipop Day. Happy National Lollilop Day. Good Lollipop.

Sì, il 20 giugno è stato eletto come giorno dedicato ai leccalecca. Perchè? Ma chi l'ha deciso? E quando, poi? A che pro? Ma d'altronde tutte queste domande sono inutili quando si ha a che fare con gli americani, inventori di ricorrenze quantomeno bizzarre
Per il National Lollipop Day promozioni, ricette (da non sottovalutare la ricetta della radice alla birra), sconti, personaggi improbabili (come la ex Playboy-girl Holly che fa i suoi auguri, che al capitolo leccalecca ne deve aver collezionati tanti e c'ha costruito una carriera).
Mille forme, mille colori, mille sapori. Il leccalecca era il dolce preferito di tutti, prima che avessero significato i doppisensi e diventasse troppo volgare mangiarlo per strada. 
Dovrebbe essere chiaro da dove prendere il nome, almeno quello. Pur non si sappia da dove arrivi la ricetta, il responsabile di tutte le allusioni sessuali di cui sono state vittime le ragazzine tra i quattordici e i sedici anni (per qualche generazione lo spazio temporale potrebbe essere diverso, molto diverso) è il signor George Smith. 
L'americano George, agli inizi del secolo scorso, era proprietario di un negozio di dolciumi  e pensava che avrebbe gasato non poco chiamare una particolare caramella "lollipop", come il suo cavallo da corsa preferito "Lolly Pop".

Tutto questo non fa che aumentare quell'irresistibile voglia di cadere nel volgare e nel trash con battute di quart'ordine che farebbero impallidire anche il peggior cabarettista.

Bè, buona giornata nazionale dei leccalecca. Si può dire, no?

mercoledì 18 luglio 2012

L'UOMO CHE DISEGNA LE DONNE


She. Lei. Sì, ok.Ma non è Lei, è una lei, con la lettera minuscola. Una lei, tutte le lei. Acuta, disinvolta, pungente. Una da presentare agli amici. Dicono. Ed è solo un disegno, solo carta e matita, quella di Lorenzo Calza. L'uomo che disegna la donna. Le donne.



Prima di tutto, chi sei?
Un quarantenne, padre di famiglia. Poi, scrivo, disegno e cittadino (mi piace pensarlo come un verbo). Spesso mi si trova in edicola come sceneggiatore di "Julia", la criminologa edita da Sergio Bonelli Editore. Volendo, si recupera un mio romanzo intitolato “La commedia è finita”. In rete sono più conosciuto come vignettista, a firma “elle©i”.

Ora racconta una storia. Chi e cos’è She? È sempre di spalle, non ha un volto? Ti sei ispirato a qualcuno?
No, a tutte. Nasce in un momento in cui nessuno parlava della questione femminile in Italia, e lei si è messa a questionare. Ma l’ha presa da una certa angolazione, non diretta, non di petto. Forse per questo è sempre di spalle. Oltre al necessario pudore che è sorto nell’autore, per non rappresentare la nudità in modo banale ma quasi metafisico. Ecco, per questo She mostra metà fisico.


Perché She? Chi ha bisogno di lei? E lei di cosa ha bisogno?
Potrei dire che lei ha bisogno di chi ha bisogno di lei. Ma poi mi scapperebbe da ridere. Forse non è questione di bisogni, ma di necessità, urgenza di esprimersi. Espressione pura, senza fronzoli. In realtà nella vignetta She non ha mai nessuno intorno, né oggetti. Niente. Solo lei, nuda e la parola. Credo che piaccia per questo.

Avrebbe senso un He oppure no?
She è il massimo della vita, la possibilità di spersonalizzarsi all’estremo, fino a trasformarsi non in qualcun altro, ma in qualcun'altra. E il tutto nella sintesi che sprigiona sensi. Una sfida quasi impossibile, secondo me così non ci era mai arrivato nessun vignettista maschio. Per chi fa il mio lavoro è l’obbiettivo più alto possibile. Mi sento un astronauta abbastanza incompreso.

Tu, una matita da disegno, un foglio bianco e..
Il mondo. Io la vivo davvero così. Sono un mondialista totale, che si trova a rappresentare quel pezzo sensato e plausibile della totalità che chi mi sta a fianco possa cogliere. Mi piacerebbe poter fissare ogni respiro dei miei figli, invidio Carl Larsson che ci riuscì. Ma preferisco lasciarli liberi di respirare la loro vita.

Cosa o chi ti piacerebbe disegnare, ma non sei ancora riuscito a farlo?
Mi piacerebbe raccontare un paese diverso, che torni a rappresentarsi e a capirsi attraverso la cultura, anche la più popolare. Invece di questa striscia di terra perduta, in un mare di ovvietà e fascismo da operetta.


Insomma, She è il massimo della vita. Come tutte le donne. O quasi. 
E questo lo dico io.


martedì 10 luglio 2012

ORDINARIA VITA LILLIPUZIANA


Genio e cibo. Follia e cibo. Fotografia e cibo.

Questi sono i Mondi Commestibili, Edible Worlds, di Christopher Boffoli. Un caro artista di Seattle pure simpatico, mica spocchioso come tutti quelli che se la menano perché sono riusciti a mettere a fuoco l’originalità di una bella foglia dentro una pozzanghera (senza nulla togliere né alla foglia né alla pozzanghera eh).
Cibo a grandezza macroscopica, che crea un mondo dove persone a grandezza microscopica vivono storie.

E che si fa? Non lo si va a cercare per fargli qualche stupida domanda? Sì.

Com’è nata l'idea della collezione Big Appetites nella tua testa?
La genesi della mia serie di fotografie nasce da quando ero bambino. C'erano così tanti film e show televisivi che sfruttavano sia il potenziale drammatico e la commedia di una giustapposizione di diverse scale: le persone piccole in un mondo di dimensioni normali (nda, anch’io ho visto “Tesoro mi si son ristretti i ragazzi” ma non ho avuto quest’idea geniale). È un tema culturale sorprendentemente comune che risale fino ai Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift nel XXVIII secolo e forse anche prima. E poi, i bambini per primi vivono in un mondo adulto per loro fuori scala.


Quando ho cominciato a scattare alcune delle primissime immagini di questa serie, intorno al 2003-04, scegliere il cibo come componente è stata una scelta consapevole: il cibo è bello per consistenza e colore, lo è ancora di più con le luci giuste. Poi la combinazione tra cibo e giocattolini rende il concetto accessbile a tutti. Indipendentemente dallo stato di lingua, cultura e sociale, quasi tutti possono identificarsi con i giocattoli della loro infanzia. E se si mangia con la forchetta, bacchette o le mani, tutti capiscono cibo. Sedersi a tavola ci fa sentire più umani.



Christopher ci tiene che vengano dati i riferimenti delle sue mostre in corso. È forte il timore che il target sia sbagliato. A Londra le fotografie sono in mostra ed in vendita presso il negozio Liberty, filiale di Regent Street, grazie ad un accordo con la galleria FlaereA New York fino al 24 agosto l’esposizione alla Winston Wachter Fine Arts, 530 Street West 25, Chelsea. 

Comunque sì, le foto sono piccole apposta. Non è mancanza di senso praticoestetico. Costretti ad andare sul sito, no?