venerdì 21 ottobre 2011

HALLOWEEN-A'-PORTER FT. BIELLA



Halloween. Bla, bla, bla, dolcettooscherzetto, bla, bla, bla, festa delle streghe, bla, bla, bla, trashata americana. Però Halloween è sempre Halloween e non c’è niente da fare.

Il biellese, ormai attivo sostenitore e generatore di inutili e balzani argomenti, non si è smentito nemmeno questa volta. Oltre ad essere grande conoscitore di musica ricercata, non si può certo negare la sua innata propensione per ciò che è bello (donne comprese): da autentico esteta qual è, una festa come Halloween non poteva salvarsi.
Grandi idee per grandi travestimenti.
Così, unite le forze e spremuti i cervelli, ne è uscito davvero il meglio.
Dopo l’elezione da parte della stampa locale ad esperta di moda, i consigli dovrebbero andare nella direzione della classifica stilata dal Chicago Tribune a riguardo (anche se un meritatissimo applauso va al travestimento da tamarra di Jersey Shore).
Invece da brava – e vera – fascionblogger (sì, fascion scritto fascion) unita ad bravo e vero professionista dell’esserefuoriditesta, ecco le prime idee partorite:

  • Steve Jobs zombie, perché la tecnologia lo terrà in vita per sempre
  • Gheddafi, ancora insanguinato però
  • Salma trafugata di Mike Bongiorno, oppure bara trafugata, a piacere
  • Nicole Minetti, vestita però, altrimenti che paura fa!?
  • Er Pelliccia pompiere con estintore da lanciare in caso di incendio
  • il gatto inopportuno del porno di Belen Rodriguez
  • il pisello moscio e piccolo dell’uomo del porno di Belen (sembrerà ripetitivo, ma l’attualità è tutto in queste feste)
  • Giulio Tremonti con forbicione insanguinato per i tagli
  • Amy Winehouse, morta e risorta

Tagliando corto, buon allouin in anticipo.

Applausi e ringraziamenti possono essere recapitati sia personalmente sia via posta.
Di nuovo grazie al biellese: senza di lui tutto questo non sarebbe stato possibile.

venerdì 14 ottobre 2011

CHUCK E SHANNON: I MOSTRI


Niente e nessuno è ciò che sembra. Esticazzi. Ecco, sì, questo descrive bene Invisible Monsters. Non è un libro, è un delirio, lucido, ma pur sempre un delirio. Cioè, oddio, ad una prima impressione può sembrare solo un incoerente delirio: non si può pensare che una storia così grottesca e surreale (una top model senza mascella – gli uccelli hanno mangiato la mia faccia – una donna che in realtà è un uomo, un uomo che in realtà è una donna, un uomo imbottito di ormoni femminili a sua insaputa) possa essere presa sul serio. Ma Palahniuk spiattella lì senza mezzi termini quello che per gli americani non solo è normale, ma quasi ovvio: la bellezza, gli psicofarmaci, le feste patinate, l’omofobia, l’incomprensione con i genitori (sì, perché la povera Shannon riceve come regalo di Natale dai suoi pacchi su pacchi di preservativi, con Perry Como in sottofondo; e si dispiace per qualunque cosa: Scusa, mamma. Scusa, Dio). Direi che come approccio all'autore, l'inizio è col botto.

Anche perché la storia gira tutto intorno a questo: Shannon McFarland è una bellissima modella di successo, un giorno però un misterioso colpo di fucile (i sospetti oscillano fra la sua migliore amica Evie e il suo fidanzato Manus) la colpisce in pieno volto staccandole la mascella. Ricoverata in ospedale e diventata un mostro col viso mutilato, Shannon conosce Brandy Alexander, un bellissimo transgender in procinto di realizzare il suo ultimo intervento per completare il suo cambiamento. Brandy accoglie sotto la sua ala protettrice Shannon e la guida in un viaggio fisico e spirituale alla ricerca di cosa si è e di cosa si vorrebbe essere, senza però avere un’idea precisa né di una né dell’altra cosa. Sono entrambi alla ricerca di un posto che non sia sulla mappa. E ci sono anche altri quattro personaggi che girano intorno alla magica coppia Brandy-Shannon, che ha fatto della Physician’s Desk Reference la sua Bibbia: Evie Cottrell, la migliore amica di Shannon, modella anche lei ma molto meno bella della protagonista, Manus Kelley, il bellissimo fidanzato di Shannon, Seth, compagno di viaggio delle due bellezze (con una grandiosa teoria più e più volte ripetuta: Seth dice che il fatto di essere nati rende i tuoi genitori Dio. Gli devi la vita e ti possono controllare. “Poi la pubertà ti rende Satana – dice – solo perché vuoi qualcosa di meglio”), e Shane, il fratello di Shannon omosessuale, morto di AIDS qualche anno prima e verso il quale la protagonista ha sempre provato un puro odio causato dall'invidia.

L’irresistibile fascino delle bugie. Ecco cos’è. Il tutto mischiato a una buona dose di moda, silicone, chirurgia plastica, pasticche e ormoni.
A libro finito due sono le idee che montano in testa: che essere diversi è l’unico modo per tornare sui binari. E che la bellezza è una maledizione, un demonio che priva le persone della propria anima: l’unica cosa che si arriva a desiderare è di non avere tutto questo.
Una tragedia vissuta e raccontata con uno strano stranissimo tocco di femminilità (ma dopo un po’ pure il confine tra maschio e femmina si comincia a perdere, non è facile fare un distinguo solo perché uno ha il pisello e l’altro no), un dolore tutto al femminile, anche – soprattutto – per chi femmina non lo è.


“La cosa più noiosa del mondo – Brandy dice – è la nudità”.
La seconda cosa più noiosa, dice, è l’onestà. 

lunedì 10 ottobre 2011

GLI INGLESI SONO MACABRI

Essere sempre l’ultima a scoprire le cose è una dote. O meglio una cosa che c’hai e non ti scolli. Ed ecco allora che approdare a siti fantasticamente illuminanti non è più una cosa da condividere, se quegli stessi siti sono già conosciuti all over the world. Ma vabè. Alla scoperta di Vice (questo il sito scoperto, ma che sembra che già tuuuutti conoscano), cerca cerca, ravana ravana, ci si imbatte in un’artista mica tanto registrata. Miranda Hutton.
Ah, prima che la legge bavaglio banni questo post all’istante, rettifico il giudizio riguardo la fotografa inglese: è molto brava, “mica tanto registrata” si riferisce ai soggetti non convenzionali usati per le sue  fotografie.
Prendi una macchina fotografica, metti a fuoco stanze di bambini morti. E scatti. Questo è “Rooms Project”, datato 2003/2004. L’intervista sul sito è fantastica: lei racconta di come questo progetto nasca da un trauma (a 17 anni le muore un’amica di cancro e i genitori – dell’amica – lasciano che loro amici entrino nella stanza della poverina, e anche spesso). Quindi Miranda intuisce subito il legame tra spazio e oggetti. Ovviamente, la foto della stanza dell’amica c’è, fatta con anni di distanza ma c’è.

[…] fotografare quella stanza ha significato immortalare gli oggetti, costringendoli a raccontare le loro memorie nascoste. Dopo quel che ho fatto la stanza ha subito un graduale cambiamento e piano piano i genitori hanno cominciato ad utilizzarla […] Nonostante l’arredamento sia rimasta praticamente lo stesso, all’interno è stata data una spolverata e alcuni oggetti sono stati spostati.
Quindi, in parte, è merito tuo e del tuo progetto se i genitori sono riusciti a superare il trauma?
no. Non credo di aver aiutato, ma sono convinta che esista un processo universale secondo cui la gente nelle prime fasi del lutto resta aggrappata agli aspetti materiali del defunto per poi lentamente lasciarli andare. Le mie immagini immortalano solo una parte di questo lungo processo di accettazione del dolore […]
Lavorando al progetto cosa hai trovato più interessante?
Molte di queste stanze finiscono per diventare il ripostiglio di valigie e cose così, quando succede è significativo perché vuol dire che si sta andando avanti. Ci sono altre situazioni […] e stanze in cui sembra che le cose non siano mai cambiate. […] Un’altra cosa interessante è che anche quando vengono riutilizzate, l‘arredamento non cambia mai, sono sempre la stanza “di quello o di quell’altro”. Sai, la stanza di Allison o la stanza di Susan.
Ed eccola qui, il Caronte dei vivi. Ti muore un figlio, fai ciiis.
Sembra una cosa strana, ma mica tanto: nel film “The Others” (brividi e popcorn per due ore intere, oltre a qualche principio di angina pectoris qua e là) si racconta che ai morti venivano fatte fotografie nelle quali sembrava che dormissero in modo da racchiuderne l’anima. Ebbene sì, e sti ghostbuster de no’attri erano pure convinti di catturare gli spiriti sulla pellicola fotografica, pensa te che ròba. Ed era pure una cosa un sacco di moda nel vecchio mondo anglosassone. Questi inglesi.

mercoledì 5 ottobre 2011

IL DIO DELLA CARNEFICINA E' QUI


“Il mio credo è il dio del massacro”.

Questa frase basta – ed avanza – per eleggere Carnage di Roman Polanski un autentico gioiellino. Tratto dall’opera teatrale The God of Carnage di Yasmina Reza, poi coautrice della sceneggiatura, e presentato all’ultimo festival di Venezia, l’ultima fatica del maestro ha decisamente fatto breccia. Superato lo scoglio del timore reverenziale col quale ci si avvicina a registi del genere, la pellicola regala bei momenti. Di sconforto. E scoramento. Diciamo che Polanski riesce appieno nell’intento di sconvolgere. Sì, perché l’intenzione è quella: smantellare il perbenismo della middle-upper class americana, riaffermando la potenza primitiva dell’istinto barbaro.

Ma con ordine. Prima la trama. Due nanerottoli undicenni si picchiamo al parchetto, uno rompe i denti all’altro con un bastone. Penelope (Jodie Foster) e Michael Longstreet (John C. Reilly), liberali genitori della picchiato, convocano in casa loro Nancy (Kate Winslet) e Alan Cowan (Christoph Waltz), superimpegnati genitori del picchiatore, per chiarire l’accaduto. Punto. Sì, punto perché in teoria non c’è nient’altro. In pratica, è la caduta libera verso l’inevitabile schianto: si vomiteranno addosso – in più di un senso – magagne, insoddisfazioni e rospi tenuti in gola per troppo tempo.


Un poker di protagonisti, una sola location: è teatro.
Per 79 minuti non ci si riesce ad alzare dalla sedia, incollati, senza tregua. La trama da la stessa dipendenza che il guardare dalla serratura quello che fa il vicino. Spiare dà dipendenza. Perché è così, in questo film Polanski spia senza rispetto la vite di questi quattro.
Quattro, poi, mica tanto a posto. Penelope Longstreet, interpretata da un’isterica Jodie Foster, sembra uscita direttamente da una delle peggiori puntate di Sos Tata: madre-maestrina, pignola, iperprotettiva e nevrotica, sembra peggio di mia madre. Se la prende solo per le cazzate: i tulipani, la torta, cosa è in frigo e cosa no. Micheal Longstreet, bè, poverino. È l’uomo voletedelcaffè, voletedellatorta, l’uomo chivuoledelloscotch: insomma, il sottomesso che poi esplode. Nancy Cowan è una reale meraviglia: falsa, stressata e con la fissa per quel povero criceto. E poi Alan Cowan, lo stronzo per eccellenza, con Walter che chiama sempre nei momenti meno indicati e un mix di John Wayne e Ivanhoe come modello comportamentale.

Ripeto, questo film è un gioiello.


E non parlerò di The Dreamers di Bertolucci. Perché sarà che sono ignorante, però ...

martedì 4 ottobre 2011

IL LEGO NON MORIRA' MAI

Bel voto uguale Lego. Niente capricci uguale Lego. Natale uguale Lego. 
Queste le equazioni che hanno caratterizzato le vite della maggior parte dai bambini. Ma a questo punto vien da dire, non solo. Già perché non sempre sono i bambini a perdere la testa per quei versatili mattoncini, ma anche i grandi. O meglio, diciamo che c’è chi non ha mai superato la fase del distacco emotivo da quel gioco (che gioco non è, per chi è cresciuto negli anni Novanta, ma piuttosto una fondamentale tappa di vita in cui tutti si decide che da grandi si farà l’ingegnere).
Negli ultimi dieci anni un’intera generazione di giovani artisti piuttosto originali si è lasciata ispirare dalla storica azienda danese di mattoncini.

C’è Sean Kenney la cui specialità sono le riproduzioni dei palazzoni della Grande Mela, oltre al classico World Trade Center e all’Empire State Building, anche il caotico Greenwich Village. C’è Henry Lim con il suo stegosauro a grandezza naturale: una chicca. Ci sono Andrew Lipson e Daniel Shiu, famosi per aver realizzato con i Lego le architetture impossibili di Escher. C’è Spite Your Face, società di animazione londinese che realizza video e dvd, soprattutto per il web, che con la tecnica dello stop-motion ha messo su divertenti parodie di grandi film.

Ma di matti ne è pieno il mondo. Negli Stati Uniti – e dove se no? – c’è il Reverendo Brendan Powell Smith che si è messo in testa di ricreare gli episodi della Bibbia attraverso una serie di set Lego. No comment.

Ed infine, il mio preferito: Nathan Sawayasi.