giovedì 15 settembre 2011

MICHELETTO, IDOLO

Intrighi, tradimenti, cospirazioni. Di nuovo.
Sinceramente mi aspettavo di più dalla serie sulla dinastia più stronza del Rinascimento: “The Borgias” delude le mie aspettative.
Anche se gli elementi per assicurarne il successo sembrerebbero esserci tutti: un confusionario pastone storico – che per gli americani si chiama “passato” – gente in costume con un accento strano (l’italiano di Jeremy Irons è una chicca), una tormentata saga famigliare. E last but not the least tra tutte le dinastie piene di problemi la Showtime va a pescare proprio quella che ha scritto INCESTO grosso così in fronte. Doveva essere un successo.
Ma a parte facili e presuntuose critiche non è proprio tutto da buttare.

Per quanto riguarda i personaggi, non è da sottovalutare il fascino di Jeremy Irons: nella parte di Rodrigo Borgia si trova abbastanza a suo agio (tutto svaccato sul trono papale è davvero un tamarro), ma quei capelli a scodella, vabè. Ad ogni modo, il suo è il personaggio centrale – ovviamente – quello che tutto vuole e tutto ottiene, con ogni mezzo. Il mezzo è naturalmente Cesare, impersonato da François Arnaud uomo di non scarsa bellezza, primogenito con un sacco di disturbi nel rapporto padre-figlio, e che per non smentire la sua reputazione tromba al minuto quattro della prima puntata. Lucrezia è molto deludente: questa quattordicenne slavata e svampita, senza ancora il minimo di guizzo nell’occhio, che giusto per mettere a disagio tutti si struscia e si rotola con il fratello maggiore ad ogni occasione.
Ma vera rivelazione e personaggio che ha subito conquistato il mio cuore è Micheletto. Assassino spietato e primo fan di Cesare Borgia, il giovane fa la sua comparsa alla grande: “I have smothered infants in their bed, but only when their parents paid me”, una frase che ha da entrare nella storia. Sorvolando sul tasso di omosessualità della scena in cui Cesare lo frusta e lui non fa che gridare “Harder, my lord”, Micheletto è in assoluto la punta di diamante del cast.
Tanta emozione quanta me ne ha data il giovane assassino, solo il principino Alfonso di Napoli nell’esporre al Cardinale Della Rovere la macabra collezione di cadaveri del padre: a metà tra la blasfemia (sono dodici, come gli Apostoli, e disposti a mo’ di ultima cena, perché re Ferrante sta ancora cercando il suo Giuda) e la necrofilia (il re di Napoli è solito cenare con i suoi cari cadaveri quando si sente solo.. bah).


Comunque, c’è ancora margine per rialzare le sorti di questa serie. D’altronde gli slogan promozionali promettevano “Sex, power, murder, amen”.

Per concludere, una chicca: la prova “testes et pendentes”. Sfatiamo questa leggenda perché questo test viene ritenuto dagli storici una bufala: nessun papa appena eletto si sedeva su una sedia bucata per farsi ravanare sotto la tonaca da un povero disgraziato che doveva verificarne la mascolinità. Tant’è che questa leggenda nasce da un’altra leggenda, quella della Papessa Giovanna: infatti, la storia voleva che la Chiesa avesse introdotto il rito del ravanamento giusto per non farsi più fregare dalla prima squinzera che passa.
Ma nonostante questo, non si può dire che la scena non sia esilarante: “Go on, the suspence is killing them”. Geniale.

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